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L’osteointegrazione è il processo su cui si basa l’implantologia e che, nello specifico, definisce l’unione tra un osso e un impianto artificiale senza tessuto connettivo apparente. Il termine osteointegrazione fu coniato alla fine degli anni sessanta dal dottor Branemark, professore all’istituto di biotecnologia applicata di Goteborg che viene oggi comunemente riconosciuto come il padre dell’implantologia moderna.

L’impianto dentale solitamente è realizzato in una lega di titanio. Prevalentemente l’altro elemento a cui viene legato il titanio è il vanadio che ne aumenta la resistenza e la tenacità. Si tratta di un materiale molto leggero e resistente alla corrosione, particolarmente adatto a favorire l’osteointegrazione.

Nel corso dei suoi studi Branermark scoprì che il titanio a contatto con l’osso forma sulla sua superficie un ossido grazie al quale avviene “l’adesione” tra la vite implantare e l’osso stesso. Da lì in avanti l’implantologia ha subito grandi evoluzioni che hanno portato a nuove superfici più performanti allo scopo di favorire il processo di osteointegrazione. Le nuove superfici sono generalmente prima sabbiate con microsfere allo scopo di aumentare la rugosità della superficie e in fine acidificate per creare microporosità adatte alle cellule capaci di produrre osso: i famosi osteoblasti.

La completa osteointegrazione dell’impianto nell’osso avviene in un periodo variabile che va dai tre mesi per la mandibola, cioè l’arcata inferiore, ai sei mesi per il mascellare superiore. I tempi variano a seconda del tipo di intervento eseguito, delle superficie dell’impianto inserito e della qualità dell’osso.